Quasi ogni giorno parlo con degli schiavi. Sicuramente capita anche a voi, non vi dico niente di nuovo. E’ la signorina con accento albanese o romeno che propone mirabolanti risparmi sul telefonino (“Torna a Telecom!”), assicurazioni auto competitive rispetto a quella che avete, un altro fornitore di elettricità.
Con quelli butto giù il più rapidamente possibile, cercando di essere gentile (non sempre ci riesco) perché so che sono schiavi, pagati a cottimo, licenziabili ad libitum: un economista francese li ha definiti “i famelici”. Il peggio è quando sono io che ho bisogno di loro: un problema di software, qualche elettrodomestico che non funziona, chiarimenti su un prodotto o un contratto.
Nel capitalismo terminale, questo è esaltato come “terziario avanzato” anzi “innovativo”, “strategie di post-vendita”. “Si chiude un ordine e si apre un rapporto”, canta una pubblicità. E’ la speranza del capitalismo più avanzato: costringerti a comprare non l’auto, ma i servizi di manutenzione, gestione, assicurazione, tutto ciò che segue nella vita dell’auto: è lì che si guadagna. Ed avanza “la società dei servizi”, tutta basata sulla “assistenza alla clientela” totale.
Nella realtà, questi “servizi alla clientela” sono – come sapete tutti – fasulli, inutili, anzi irritanti. Il giovanotto con accento estero, la ragazza albanese che risponde dal call-center, non sanno che affrontare i due o tre problemi-standard più frequenti, a cui sono stati addestrati; per il resto, “aspetti che le passo il nostro servizio tecnico”; e allora per ore spaventose musichette pop, o tuu-tuu dell’occupato (“Restate il linea per non perdere la prenotazione…”).
Se richiamate, non ritrovate mai la ragazza con cui avete parlato prima (al massimo avete il suo numero d’identificazione, se ve lo siete segnato;), sicché dovete raccontare tutto da capo. Sapendo già la risposta: “Resti in linea per il nostro tecnico”. E guai se vi esasperate: alla signorina non importa nulla del vostro problema – ha i suoi, unire il pranzo con la cena, pagare le bollette, i figli piccoli da mantenere. Soprattutto, non ha alcun motivo per volere il bene dell’azienda – che l’ha assoldata per pochi centesimi, che sa che la licenzierà appena dovrà tagliare i costi, anzi, per cui spesso lavora attraverso un’agenzia in subappalto, che si ritaglia sulla sua magra spettanza il suo “profitto”.
Anche questo è esaltato dalle business-school con termini seduttori: “lean management”, gestione leggera e flessibile, “offshoring”, ossia subappalto dei servizi d’assistenza alla clientela ad agenzie esterne piene di sottopagati, di “famelici”. Così la ditta risparmia “sui costi” come esige non solo la business school, ma persino il Fondo Monetario, la Banca Centrale Europea, Bruxelles e Berlino.
Nella vecchia terminologia aveva un altro nome: “lavoro schiavistico”. Infatti l’economia dei call-centers presenta tutti gli inconvenienti, noti da secoli, del lavoro degli schiavi: scarsa qualità, meccanicità (e menefreghismo), assenza di lealtà verso il padrone, non volontà di risolvere autonomamente i problemi. In poche parole: un servizio deplorevole, disumanizzato. In una parola: improduttivo.
I vecchi capitalisti l’avevano imparato da secoli, si tenevano cari lavoratori, cercavano di guadagnarsene la lealtà con la fedeltà. I nuovi – finanziari, che non hanno mai visto una fabbrica, sempre alla ricerca della “innovazione” e della “gestione leggera” – quegli investitori che a Wall Street, quando IBM e Caterpillar licenziano, ne fanno rincarare le azioni perché “tagliano i costi” e dunque nel prossimo trimestre “esibiranno un profitto”- hanno completato il giro, e riscoperto che è furbissimo ingaggiare dei “famelici” schiavi, in paesi sottosviluppati, per i “servizi post-vendita”.
Così si vede che la persecuzione spietata della “massima efficienza “(massimo profitto) per “il capitale investito” finisce per essere – invece – proprio la palla al piede verso la meravigliosa “società del terziario avanzato”.
Ma quale servizio al cliente. Il cliente è sempre più consapevole di essere stretto fra la mascelle di un sistema disumano, dove l’anonimato dello schiavo (ha un numero, è introvabile alla seconda chiamata) è chiaramente lo schermo di ferro dietro cui l’azienda si ripara da lui, il cliente; il rompipalle che chiede un servizio appena un po’ superiore alle FAQ, “domande frequenti”; un servizio che non c’è fra le alternative che la voce automatica elenca: “Digiti 1 se…Digiti 2 se…”.
Ma ai capitalisti della finanza, investitori a cortissimo termine, che importa?
Anzi il cliente stesso è reso sempre più schiavo: del loro interesse. Non vedete? Andate in banca e dovete dialogare con il Bancomat, perché hanno risparmiato gli stipendi degli impiegati, e la coda per parlare con un essere umano (quasi umano) è lunghissima; al supermercato il numero delle commesse cala, e le sostituite voi stesso, clienti, passando le merci sul lettore ottico. E in cambio mica avete uno sconto; lo stipendio della commessa risparmiata se lo incamerano lorsignori. I capitalisti della massima efficienza.
Una “società di servizi” senza servitori, ecco il loro ideale. E anche senza clienti, che infatti trovano sempre meno lavoro e accettano lavori da schiavi.
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