«Io non sono più schiavo del lavoro»:
la storia di Francesco e del suo cambiamento
Di Elena Tioli
Francesco Narmenni ce l'ha fatta: ha lasciato il lavoro, trascorre più tempo con la sua famiglia, coltiva le sue passioni, segue un blog e vive con 500 euro al mese.
Impossibile? No, possibile. E in questa intervista ci spiega come.
Francesco Narmenni ha quasi quarant’anni e vive in un piccolo paesino del nord Italia immerso tra le montagne. Studi scientifici, una laurea in fisica, qualche lavoretto saltuario e quindici lunghi anni da impiegato in una grande azienda informatica operante nel settore sanitario con uno stipendio da 1500 euro al mese e l’illustre contratto a tempo indeterminato.
Una vita “normale”,
con un lavoro “normale”
e una routine “normale”.
Fino a qualche anno fa, quando, grazie a un momento di illuminazione (o di pazzia) ha deciso di cambiare vita e di dedicare tutte le sue energie per fare in modo di smettere di lavorare, per vivere una vita libera, per coltivare le sue passioni e scegliere ogni giorno come impiegare il proprio tempo.
Quando hai deciso di cambiare vita?
«Ad un certo punto mi sono reso conto che la mia vita era solo l’insieme di azioni automatiche che eseguivo senza chiedermi perché, a cominciare dal caffè che assumevo cinque volte al giorno senza un vero motivo. Una vita affrontata senza spirito critico non poteva essere vita, doveva per forza esistere un modo di vivere diverso, fatto di consapevolezza e libertà decisionale. Il viaggio è iniziato allora, ma al tempo non avevo ancora idea di dove mi avrebbe portato».
Cosa ti mancava e cosa stavi cercando?
«L’aspetto più drammatico del modo “normale” di vivere è che apparentemente non manca nulla: ci riteniamo fortunati perché abbiamo un lavoro e un’automobile e ci possiamo comprare le scarpe da 200 euro; in questa condizione è molto difficile accorgersi di star buttando al vento l’opportunità di essere veramente liberi. Dunque non mi mancava nulla, penso solo di essere stato fortunato ad aver avuto un improbabile momento di lucidità durante il quale mi è parso assolutamente chiaro quanto fosse drammatica la condizione di schiavitù mentale in cui versavo. E’ stato lì che è emerso il bisogno di stravolgere tutto, rilegare il lavoro all’ultimo dei miei pensieri, e fare di tutto per vivere una vita libera, coltivando le mie passioni e scegliendo ogni giorno come impiegare il mio tempo».
Come ti sei preparato al grande passo di lasciare il lavoro?
«Inizialmente ho pensato di scappare all’estero in uno di quei luoghi dove la vita costa poco, ma dopo diverse settimane di ricerche ho compreso che posti del genere non esistono. Purtroppo la rete pullula di siti che basano i loro guadagni sull’illudere le persone che esistono paradisi dove si può vivere con 300 euro al mese, ma quello che non dicono è che si vive con poco solo se si adotta il “loro” stile di vita, accontentandosi (ad esempio) di una sanità di basso livello e un grado d’istruzione non adeguato. A quel punto ho compreso che l’unica possibilità era quella di dare vita ad un vero e proprio progetto di cambiamento, con tappe precise e calcoli matematici per stabilire quanto mi sarebbe servito per vivere, in Italia, tagliando tutto il superfluo e quanto “poco” avrei potuto lavorare. Non importava se ci sarebbero voluti anni, la vita è un bene troppo prezioso per rinunciarvi».
Cosa hai provato il giorno che ti sei licenziato? Paure, ansie, speranze che avevi in quel momento?
«Avevo programmato di lasciare il lavoro dopo 5 anni di preparazione, ma le condizioni giuste si sono verificate con due anni di anticipo, rendendo la decisione ancora più difficile.
Non direi la verità se affermassi che ero determinato e che ho affrontato il mio capo con convinzione e forza: questa prova “ultima” è stata per me una grande lezione di vita, mi ha fatto comprendere che sono molto bravo a parole, ma che quando si tratta di agire è tutta un’altra storia e sorgono in me mille paure e ripensamenti. Alla fine ho trovato la forza.
Ricordo bene quel giorno, l’aria tiepida di una serata quasi estiva, quella sensazione di essermi scrollato di dosso un peso immenso, ma anche la paura di un futuro completamente da scoprire e costruire. Improvvisamente ero tornato un ragazzino al suo ultimo giorno di scuola, con davanti a sé un’incredibile e lunga estate di libertà e spensieratezza».
Come hanno reagito amici e conoscenti al tuo licenziamento? Cosa pensano delle tue scelte?
«Hanno pensato che fossi pazzo, che mi sarei schiantato e che ho fatto male a mollare un lavoro sicuro per inseguire le mie passioni. Li capisco perfettamente, non ho il dono della veggenza, non so come andrà a finire questa avventura, però sono profondamente convinto che quella sicurezza che crediamo derivi da un posto fisso è pura illusione e la recente crisi economica l’ha già dimostrato».
Cos’è successo da lì in poi?
«L’abbondanza di tempo è stata disarmante, non siamo abituati a dedicare molto tempo alle cose, agli affetti e a noi stessi. Inizialmente si continua ad agire freneticamente perché siamo ammaestrati dalla società ad essere rapidi e superficiali. Quando finalmente si cambia ritmo si comprende la pazzia a cui eravamo assoggettati, si scala marcia e s’inizia a vivere a ritmi molto più piacevoli. S’impara addirittura a parlare più lentamente. Ho iniziato a dedicare tutto il tempo che ritenevo giusto alle mie passioni e agli affetti, a trascorrere i lunghi pomeriggi di sole al lago o in montagna, a curare l’orto, a scrivere o semplicemente a non fare nulla».
Di cosa vivi oggi?
«La mia principale fonte di rendita è il blog smetteredilavorare.it, con cui guadagno lo stretto necessario che mi serve per vivere, non molto, ma il giusto. Ho scelto questa forma di rendita perché volevo essere svincolato dal luogo in cui risiedere: tutto quello che mi serve è un PC portatile e una connessione ad internet».
Come si vive con meno di 500 euro al mese?
«Si vive molto bene perché si è costretti a rinunciare a tutto il superfluo e questa non è una limitazione, ma una liberazione. Quando si smette di ricercare la felicità attraverso l’acquisto dell’inutile s’inizia a dare importanza a valori dimenticati, come una cena con amici in cui ognuno porta qualcosa e si cucina insieme, oppure aiutare gli altri senza chiedere nulla in cambio. La maggior parte dei problemi che crediamo derivino dall’assenza di soldi sono dei non-problemi, non importa se metto lo stesso paio di scarpe per tre anni di fila o se non vado al cinema da chissà quanto ormai, quando si ha il tempo e la libertà i sostituti artificiali della vera felicità non servono più a nulla».
Quali sono i lussi che ti puoi permettere
e a cosa invece hai dovuto rinunciare?
«I lussi sono un aspetto della vita che evito come la peste perché ritengo che se ho bisogno di perseguire qualcosa di “superiore” agli altri, allora sto fallendo come individuo. Cerco di spiegarmi meglio: se per sentirmi bene devo sfoggiare un’auto costosa o una borsetta da 500 euro, vuol dire che per essere felice ho bisogno di sentirmi ammirato e invidiato dagli altri. Questa non è vera felicità, è un surrogato di essa, un prodotto della società. La vera felicità si ottiene attraverso la rinuncia a tutto questo e la comprensione che il lusso è la manifestazione di quanto siamo schiavi dei beni materiali e del fatto che li usiamo come sostituti alla vera felicità».
La tua non è stata solo una scelta personale, hai anche una famiglia, una moglie e una figlia con cui hai condiviso questo percorso.
Com’è stato per loro?
Come ha influito la tua (vostra) scelta
sulla vita di tua figlia?
«Mi ritengo molto fortunato perché ho una moglie che la pensa esattamente come me, anzi, su certi aspetti va anche oltre. Non ho incontrato ostacoli durante questo processo; anzi, oggi i benefici si notano proprio nel quotidiano.
Mia figlia è una bambina sempre sorridente proprio perché ha genitori che la amano, che trascorrono con lei molto tempo, mai stressati e molto presenti. Certo, quando sarà adolescente ci saranno sicuramente scontri, ma preferisco che nella sua infanzia riceva l’amore e l’affetto di un padre ed una madre felici, piuttosto che vestiti firmati o soldi per andare in discoteca ogni sabato».
In un momento di profonda crisi in cui il lavoro (qualsiasi lavoro) per molti sembra l’Eldorado, tu non solo lo lasci ma racconti nel tuo blog come vivere senza. La fai sembrare facile.
Dove sbagliano allora così tante persone disperate per la mancanza di lavoro?
Cosa consigli loro?
«Non penso che le persone stiano sbagliando qualcosa, se penso a come ero prima del cambiamento mi accorgo che non pensavo mai a questa possibilità, davo per scontato che quello fosse il modo normale di vivere, l’unico possibile, invece è solo il peggiore possibile. Il passaggio più difficile è accorgersene; quando finalmente apriamo gli occhi ci rendiamo conto che il mondo è pieno di persone che vivono in mille modi diversi, ne ho conosciute a decine, e molti di loro sono assolutamente felici e realizzati pur vivendo completamente fuori dagli schemi».
E’ davvero possibile cambiare vita
senza soldi e vivere senza lavorare?
«Ogni volta che leggevo libri, articoli o racconti di persone che riescono a vivere senza lavorare, sotto sotto c’era sempre qualcosa che non tornava, soprattutto sul concetto di denaro.
Non riuscivo mai a trovare una risposta ad una domanda molto semplice e diretta: “Come si fa con i soldi?”. In genere molte persone sviano il discorso perché non sanno rispondere e, andando a fondo, si scopre sempre che il “tizio X” di soldi ne aveva, o almeno ne aveva più della media degli italiani, il che fa cascare tutto il palco, perché se sei un privilegiato la tua storia non può essere d’aiuto ai comuni mortali.
Con il progetto Smettere di lavorare e l’omonimo libro che alla fine di maggio presenterò alla Fiera del Libro di Torino, ho voluto invece rincuorare tutti e spiegare come un comune lavoratore come me, che guadagnava 1500 euro al mese, ha potuto affrontare questo cambiamento e vivere oggi senza lavorare. Quindi sì, è realmente possibile, a patto che si sia in grado di seguire un progetto e impegnarsi per portarlo a termine».
Nel tuo blog trovano tanto spazio post sulla spiritualità e la socialità. Perché in un percorso di scollocamento è così importante riscoprire sé stessi e il proprio rapporto con gli altri?
«Chi intende cambiare vita lo vuole fare perché in questo momento si sente infelice, pertanto cerca una nuova dimensione in cui stare bene. Il primo passo quindi è comprendere cosa ci rende veramente felici, altrimenti il rischio è quello di sprecare tutte le nostre energie in un progetto che alla fine non ci conduce alla felicità.
Chi cerca di diventare ricco, ad esempio, spreca il suo tempo, perché la ricchezza non porta alla felicità, quindi, anche se riuscisse nei suoi intenti, alla fine si ritroverebbe insoddisfatto perché infelice. La vera felicità sta nel essere circondati da persone che ci amano e ci apprezzano per quello che siamo, persone a cui non importa come siamo vestiti o che automobile guidiamo, con le quali possiamo essere noi stessi e ci sentiamo in armonia. Cosa si può volere di più di questo?».
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
«Mi piacerebbe trascorrere molto più tempo nella mia amata Fuerteventura, un posto che adoro, dove il clima è meraviglioso e la vita scorre lenta, riuscire a completare il nuovo libro a cui sto lavorando e in generale cercare di affermarmi più come scrittore che come blogger».
Fonte: http://www.ilcambiamento.it/decrescita_felice/smetteredilavorare.html
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