Vivevamo un profondo malessere dovuto alle condizioni lavorative, ai ritmi, allo stress e all’instabilità economica. Sentivamo l’esigenza di trovare un rimedio, una via d’uscita a questa condizione. Poi avevamo bisogno di un progetto che potesse dare un senso alle nostre vite... La storia di Marco e Laura e del loro ritorno alle origini.
Marco Montanari e Laura Castellani, due trentenni dei giorni nostri con tanta volontà e una laurea in tasca… contratti precari, stipendi risicati, orari impossibili e una vita non in linea con le loro aspirazioni. Fino a due anni fa quando, dopo una serie infinita di lavori occasionali e di giornate stressate per tirare a fine mese, hanno deciso di dire addio alla città che li aveva adottati per trasferirsi in campagna e coltivare i loro sogni.
Quando avete deciso di cambiare vita?
Non c’è stato un momento preciso.
La nostra scelta è stata frutto di un percorso determinato da incontri, esperienze, stati d’animo, fatiche e soddisfazioni che negli anni abbiamo vissuto. Siamo sempre stati attivi in movimenti studenteschi ed ecologisti o in comitati cittadini. In questi ambienti abbiamo iniziato a confrontarci con i temi del cibo, dell’agricoltura e dell’utilizzo delle risorse naturali.
Abbiamo iniziato a frequentare i mercati contadini di Campi Aperti legati al circuito Genuino Clandestino e abbiamo deciso di chiedere l’assegnazione di un orto comunale.
Queste esperienze si sono intrecciate però la precarietà lavorativa che vivevamo in quel periodo. Stress e orari indefiniti hanno reso tutto piuttosto complicato e dal punto di vista economico non eravamo messi molto bene. Siamo arrivati al paradosso per cui per lavorare avevamo bisogno dell’auto, ma con il lavoro non guadagnavamo abbastanza per poterla mantenere. Questo ci ha portati a ripensare alla nostra vita e a salutare nel novembre del 2013 Bologna, una città che ormai sentivamo come casa nostra. Non è stata una scelta semplice.
Cosa vi mancava?
Vivevamo un profondo malessere dovuto alle condizioni lavorative, ai ritmi, allo stress e all’instabilità economica.
Sentivamo l’esigenza di trovare un rimedio, una via d’uscita a questa condizione. Poi avevamo bisogno di un progetto che potesse dare un senso alle nostre vite. Nei nostri trascorsi di attivisti eravamo abituati a parlare della necessità di cambiamenti radicali nella società e nell’economia, ma ad un certo punto abbiamo iniziato a renderci conto che non si cambia il mondo a suon di slogan.
Cos’è successo da lì in poi?
A fine 2013 siamo tornati nella nostra terra, in provincia di Rimini.
Eravamo pieni di speranze: volevamo vivere coltivando la terra e producendo cibo biologico. Avevamo a disposizione un piccolissimo appezzamento di terra: 5000 metri quadrati che erano stati del nonno di Laura.
Abbiamo iniziato a prendercene cura: abbiamo imparato a potare la vigna e gli olivi, abbiamo impostato l’orto e molto altro ancora. La necessità di svoltare rispetto all’ultimo periodo a Bologna non ci ha fatto vedere inizialmente che quel pezzo di terra non era sufficiente per produrre reddito per entrambi. Abbiamo così iniziato a muoverci per trovare altra terra in affitto per dare basi più solide al nostro progetto. Nel giro di qualche mese, in maniera del tutto inaspettata e casuale, siamo riusciti a trovare un altro pezzo di terra in affitto per ampliare la nostra produzione di ortaggi. A quel punto, il nostro, era diventato un lavoro a tempo pieno.
Come hanno reagito amici e parenti alla vostra decisione?
In generale molta diffidenza.
Sembrava impossibile che due come noi, senza esperienze nel settore agricolo potessere davvero diventare contadini. Nonostante questo il sostegno non è mancato e da subito si è creata intorno a noi una piccola comunità di persone che ci ha sostenuto, incoraggiato e ha acquistato i nostri prodotti. Qualcuno, non rendendosi conto della fatica e dell’impegno che questa scelta richiede, ha avuto l’ardire di dirci che si trattava di una scelta di vita “chillout”. L’abbiamo presa con un sorriso.
Oggi cosa pensano delle vostre scelte?
In generale c’è apprezzamento per quello che stiamo facendo e in molti ci guardano con ammirazione. Perché nonostante la fatica e le difficoltà continuiamo a farlo.
Abbiamo però la sensazione che non tutti riescano ad afferrare le motivazioni profonde di questo percorso.
Per esempio la radicalità con cui portiamo avanti la scelta di produrre in modo biologico o di mettere sempre al primo posto la sostenibilità ambientale della nostra attività, anche quando questo comporta un surplus di lavoro e di fatica.
Come vi siete organizzati per iniziare?
All’inizio pensavamo ingenuamente che la minima dotazione di attrezzatura che avevamo a disposizione fosse sufficiente quantomeno per impostare il progetto. Ci siamo resi conto che non era così, ma non avevamo la disponibilità economica per poterci dotare di tutto ciò che ci serviva. Così per due anni abbiamo lavorato in condizioni a tratti pre-moderne, con difficoltà enormi e a volte con risultati non soddisfacenti. Siamo riusciti ad autocostruirci o rappezzare alcuni attrezzi, che sono entrati a far parte della nostra collezione di attrezzature ribattezzate Frankenstein, alcuni funzionanti altri totalmente fallimentari. Nonostante tutto siamo riusciti ad arrivare fino a qui.
Oggi per andare avanti abbiamo bisogno però di attrezzi e risorse. Per questo abbiamo lanciato un progetto di crowdfunding su Produzioni dal Basso e una campagna di autofinanziamento sul territorio. Per una realtà piccola come la nostra sono gli unici canali di finanziamento possibili.
Di cosa vivete oggi?
Viviamo di questa attività con poche migliaia di euro all’anno. L’anno scorso, quando il progetto era ancora ad uno stadio embrionale, entrambi abbiamo svolto dei lavori stagionali come baby-sitter e magazziniere. Oggi, seppur con molte difficoltà, riusciamo a vivere di questo.
Come si svolgono le vostre giornate?
In estate ci si sveglia intorno alle 4 e mezza e si lavora finchè il caldo lo consente e poi si ricomincia nel tardo pomeriggio fino a sera. Si cambiano acqua e cibo alle galline, si zappa nell’orto, si trapianta, si raccoglie, si portano i prodotti al mercato. In inverno i ritmi sono più rilassati e si approfitta delle giornate piovose per riposarsi, fare lavori di piccola manutenzione o coltivare altri interessi.
Come avete fatto da outsiders del settore a diventare così bravi?
Non è stato semplice.
È un lavoro in cui è importante la trasmissione di saperi da persona a persona e in questa zona è molto difficile trovare agricoltori che facciano agricoltura contadina biologica o naturale. Spesso l’unico suggerimento che riesci ad ottenere di fronte a qualche difficoltà è quello di spruzzare qualche prodotto chimico in dosi massicce! Molti saperi tradizionali sembrano scomparsi con l’avvento dell’agricoltura industriale e della chimica. Quindi abbiamo dovuto studiare molto e raffrontare le conoscenze teoriche acquisite con ciò che accadeva nel nostro terreno. Ora stiamo riuscendo a costruire alcune relazioni molto importanti con persone e agricoltori competenti che ci consigliano e ci sostengono nella nostra attività.
Vi sentite controcorrente?
Dal punto di vista del modello produttivo che proponiamo e portiamo avanti, sì. Molto. La nostra agricoltura biologica, molto diversificata e di piccola scala è qualcosa che nel nostro territorio è relegato all’ambito della produzione per l’autoconsumo familiare, non si crede che si possa lavorare e produrre reddito in questo modo. Spesso siamo visti da molti agricoltori come alieni, magari simpatici, ma pur sempre alieni. Ma a noi va bene così, abbiamo deciso di schierarci “dalla parte del cavolo” e di tutte le verdure oppresse dall’agricoltura industriale. Dalla parte della terra e dei contadini che la difendono. Per noi è la parte giusta.
Oggi sempre più persone si stanno schierando “dalla parte del cavolo”…
Per fortuna sì! Si sta creando un’ampia comunità fatta di produttori e consumatori che sta prendendo forma nella società e che guarda con occhi diversi al cibo, alle produzioni agricole e al rapporto con la natura. In questo senso ci sentiamo parte di qualcosa che va al di là della nostra piccola esperienza e non ci sentiamo strani o isolati.
Vi sembra di rinunciare a qualcosa?
A volte qualche compromesso è necessario farlo. Dopo anni trascorsi in una grande città non è facile tornare in provincia. Alcuni stimoli o cose che davamo per scontante non lo sono più.
A chi pensa che lasciare il certo per l’incerto sia un azzardo, cosa rispondete?
In realtà noi abbiamo lasciato l’incerto per l’incerto.
È stato comunque un salto importante. A volte bisogna avere la capacità di guardare oltre i confini del proprio orticello e pensare che le nostre scelte possono influire non solo sulla nostra vita ma anche sul futuro del mondo in cui viviamo. Toqueville diceva, più o meno, che non bisogna limitarsi a pensare solo al domani si deve avere la capacità di guardare all’avvenire in senso più ampio. Se si prendono le cose da questo lato, anche fare qualche azzardo o correre qualche rischio può sembrare più semplice.
Che messaggio lancereste ai vostri coetanei?
Bisogna rompere l’isolamento. Le difficoltà che ci troviamo ad affrontare sono più grandi di ciascuno di noi. Da soli non ce la si fa. È la lezione che anche noi stiamo imparando da questa esperienza. Ed è per questo che stiamo cercando di allargare il nostro progetto coinvolgendo altre persone anche dal punto di vista lavorativo. Se ci si chiude a riccio aggrappandosi alle poche certezze che si hanno si uscirà di certo sconfitti. A volte bisogna rischiare e provare a navigare in mare aperto insieme ad altri con cui si condividono passioni, interessi e aspirazioni. Così si possono sconfiggere disillusione, frustrazione e paura.
Qual è stato il vostro più grande successo?
In generale aver dimostrato che ce la possiamo fare e il fatto che il nostro percorso sta ottenendo credibilità. Diciamo che il nostro sogno oggi è diventato un progetto e questo è sicuramente un grande passo in avanti.
Più nello specifico la meccanica è il nostro punto debole. Quindi abbiamo considerato un grande successo anche solo cambiare l’olio del motore di una motozzappa o riparare l’accelleratore del trattore. Oppure vedere persone anziane che all’inizio ti guardano dall’alto in basso e poi ti vengono a raccontare che a loro, per esempio, nell’orto l’aglio non è venuto e che il nostro invece è molto bello. Alla fine siamo diventati i fornitori ufficiali di aglio degli anziani che vivono nella zona in cui facciamo il mercato!
Dove vi ha condotto e dove vi sta portando questa scelta di vita?
In questi due anni abbiamo acquisito un’enorme quantità di conoscenze e imparato a fare tantissime cose superando anche dei limiti personali. Abbiamo vissuto un percorso rapidissimo e intensivo di apprendimento e crescita, con la consapevolezza che le cose da imparare sono ancora tantissime. Fino a qualche anno fa per noi un pollo era un pezzetto di carne imballato sullo scaffale di un supermercato. Oggi siamo in grado di macellare, eviscerare e disossare un pollo. Abbiamo imparato che dietro quel pezzetto di carne c’è un animale con il suo ciclo di vita, le sue esigenze e le sue abitudini. Il rispetto nei confronti del cibo cresce enormemente.
Com’è la vostra vita oggi?
Piena di stimoli, a volte sovraccarica. Però sicuramente soddisfacente e mai noiosa.
In bocca al lupo ragazzi!!!
Fonte: http://www.vivicomemangi.it/intervista-a-marco-e-laura-da-precari-stressati-a-contadini-felici/
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