
Lavorare a giornata promuove solitudine
e isolamento sociale
La fabbrica promuove la solitudine. Questo è un dato di fatto, e non sto parlando di quelle fabbriche per così dire privilegiate, dove il personale è composto sia da maschi sia da femmine, ma di tutte quelle fabbricacce, di quelle carpenterie, di quelle acciaierie, di quei cantieri dove gli uomini sono costretti nel 99% dei casi a lavorare a giornata, 8 ore se tutto va bene, ma anche 12 il più delle volte.
In questi luoghi tetri dove le rabbiose urla umane sovrastano il fracasso dei loro attrezzi e delle loro macchine, migliaia di uomini passano gran parte della loro esistenza.
E quel dolore, quella fatica e quell'isolamento all'avvicinarsi dell'età pensionabile si trasforma dapprima in affetto ed infine in nostalgia per quei luoghi grigi illuminati da fredde luci artificiali.
I colleghi spesso diventano gli unici amici, i capi le uniche persone rispettabili da cui prendere esempio.
In principio c'era la gioia data dalla libertà della pensione, ma alla fine non resta che la tristezza causata dall'aver perso anche quella minima socialità provata all'interno del proprio luogo di lavoro.
Una storia come tante di ordinaria follia, dove l'uomo non più umano, ma più simile alla macchina finisce con l'affezionarsi alla propria gabbia generosamente concessa dal giacca e cravattaro di turno, che al contrario dei suoi operai, ha passato la sua vita divertendosi, viaggiando, esaudendo uno ad uno i suoi desideri, anche se grazie al sudore altrui.
Ma allora la colpa è dello sfruttatore o del sfruttato?
Ognuno ne tragga risposta.

Non si parla neppure più di donne, ne di auto ne di moto, quelle sono cose per ragazzini dicono, che stanno ancora con la testa fra le nuvole, che sognano ancora e che pretendono di cambiare il proprio Paese, ma loro cosa sono? Uomini forse?
Cosa ne è stato dei loro sogni, delle loro aspirazioni?
Io infondo li capisco, avverto il vuoto che provano a sentirsi isolati dal mondo, a passare i weekend davanti alla tv e a bere birra prima di iniziare un'altra settimana, capisco anche la frustrazione che provano gli uomini soli ad approcciarsi con l'altro sesso in un'era in cui rivolgere a qualcuno la parola significa per forza "provarci", alcuni di loro però hanno famiglia e figli e in parte si sentono felici, ma molti, moltissimi, sono uomini soli, a volte disperati e a volte rassegnati, fin troppo rassegnati, poiché hanno finito per accettare filo per segno l'esistenza a loro proposta e per questo non danno il minimo accenno di ribellione, neppure oggi che la tecnologia delle macchine permetterebbe a tutti di dimezzare l'orario di lavoro, di faticare meno, guadagnando lo stesso stipendio.
E tutto questo significherebbe avere più tempo libero a disposizione, quindi uscire, socializzare, trovare lo stimolo per fare cose nuove, per diventare persone nuove...
Ma essi non sognano più, di conseguenza non desiderano più...

Tuttavia una via d'uscita c'è, spetta a noi unirci e decidere una volta per tutte di modificare l'orario di lavoro, fermo ancora alla tenebrosa Era Industriale, spetta a noi esigere di avere una vita sociale migliore, di veder finalmente piazze e vie dei nostri paesi brulicare di nuova vita e di nuovo entusiasmo.
Daniele Reale
Grazie! Stupenda riflessione e tanta....tanta amarezza!
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